La battaglia infuria
È il 22 dicembre del 1915, è mattina, e non sappiamo se sia un sole che quasi schernisce o il fitto e malaugurante fioccare della neve a fare da quinta al monte Podgora.
Quel che sappiamo è la battaglia che infuria – e il feroce, interminabile, insensato abbattersi dell’uomo sull’uomo. La Grande Guerra, così la ricorderemo, chiede il proprio tributo di sangue alle menti e ai cuori più giovani, cala la sua scure cieca su destini appena abbozzati. E sul Carso sono a migliaia i destini spezzati, a migliaia a cadere in una guerra di posizione tra l’esercito italiano e quello austro-ungarico che alterna lunghi silenzi a fiammate repentine e sanguinarie.
Un sublime atto d’amore e d’eroismo
Di questi destini, di questi spiriti ardenti caduti in un mattino di dicembre, uno è quello del sottotenente Gian Gualberto Ricci Curbastro.
Ha poco più di vent’anni, Gian Gualberto, quando «in un sublime atto d’amore e di eroismo» sacrifica «la balda giovinezza alla Patria» (Manifesto per la traslazione della salma, 8 ottobre 1922). Ha poco più di vent’anni e tutta la statura di uomo capace di guidare con lealtà i propri compagni d’armi verso un domani che ogni volta potrebbe non venire.
Nino, un uomo
Ma se l’eroismo è il gesto di un istante, l’eroe è anzitutto un uomo.
Gian Gualberto, il sottotenente Gian Gualberto, è prima di tutto «Nino», come lo chiamano il padre Raffaele, la madre Giovanna e il fratello Lorenzo nelle lettere con cui accompagnano il suo addestramento alla Scuola Militare di Modena.
«Carissimo Nino», dice Raffaele in una di queste, «domenica […] andremo a ritirare la medaglia di bronzo che hai ottenuto pel tiro a segno» (Raffaele Ricci Curbastro a Gian Gualberto Ricci Curbastro, 5 febbraio 1915). E ancora, la preoccupazione perché è venuto a sapere che il ragazzo ha avuto «l’abbassamento della voce e la costipazione», le raccomandazioni perché si «faccia vedere dal medico» e si «curi come si deve» (Raffaele Ricci Curbastro a Gian Gualberto Ricci Curbastro, 6 febbraio 1915), le rassicurazioni di Gian Gualberto sulla salute recuperata e sugli esami di scuola superati: «Di salute continuo a star benissimo, e le fatiche degli esami ormai sono finite» (Gian Gualberto Ricci Curbastro a Raffaele Ricci Curbastro, 2 aprile 1915).
Il mistero insondabile di una vita
Poco più di otto mesi tra questa lettera e il punto cieco in cui Gian Gualberto cadrà «in un sublime atto d’amore e di eroismo». Soltanto sette anni più tardi, nell’ottobre del 1922, il suo corpo tornerà ad avere riposo nelle sue terre.
Resta il mistero insondabile di una vita. Gian Gualberto, Nino: chissà chi era davvero, che cosa sperava, a chi ha rivolto il pensiero in quell’ultimo istante. Questa terra è il punto della storia dove restano le nostre tracce: nella misura in cui ci si dona, nella misura in cui – come il sottotenente Gian Gualberto, come Nino – ci si spende per un ideale, per una vita che generi vita.
Schede correlate
Manifesto funebre
Manifesto funebre per la traslazione delle spoglie di Gian Gualberto Ricci Curbastro
Raffaele Ricci Curbastro a Gian Gualberto Ricci Curbastro, 5 febbraio 1915
Lettera di Raffaele Ricci Curbastro al figlio Gian Gualberto impegnato nell’addestramento militare a Modena
Raffaele Ricci Curbastro a Gian Gualberto Ricci Curbastro, 6 febbraio 1915
Lettera di Raffaele Ricci Curbastro al figlio Gian Gualberto impegnato nell’addestramento militare a Modena
Gian Gualberto Ricci Curbastro a Raffaele Ricci Curbastro, 2 aprile 1915
Lettera di Gian Gualberto Ricci Curbastro, impegnato nell’addestramento militare a Modena, al padre Raffaele